Il musicista in tour con il suo ultimo disco non si arrende tra improbabili monumenti di bronzo e realtà
Primo calabrese a vincere il prestigioso premio Tenco per la canzone in dialetto (nel 2010 con il disco Ultima notte a Malà Strana), Peppe Voltarelli è molto popolare anche all’estero dopo i suoi frequenti tour in paesi come Francia, Germania, Stati Uniti, Canada o il Sud America. Ha pubblicato il romanzo intitolato “Il caciocavallo di bronzo”, un improbabile monumento da costruire in un paese immaginario e il nuovo disco “Lamentarsi come ipotesi”. Ne abbiamo parlato in una intervista.
Peppe, ci parli dello spettacolo che stai portando in giro?
«Si chiama “Il monumento” ed è un monologo di teatro canzone nella tradizione italiana più classica, quella che dai pionieri arriva fino ad oggi e sconfina un po’ nel teatro civile ma anche nella poesia popolare. È un racconto puntellato dalle canzoni che fanno parte del mio nuovo album “Lamentarsi come ipotesi”, mentre la parte testuale fa parte di questo romanzo autobiografico che è “Il caciocavallo di bronzo”, una specie di celebrazione laica della nostra appartenenza, della nostra terra, delle nostre tradizioni. È un manifesto di intenti, ironico e a tratti surreale, su come vedo io la mia storia e la mia terra».
Una storia, quella tua, indissolubilmente legata alle tue origini, ti sei anche definito un emigrante musicale…
«Si, infatti, un emigrante che attraverso la musica riesce anche a toccare alcuni punti che l’emigrazione inevitabilmente contiene: la nostalgia, la lontananza, la rabbia ma anche l’autocritica di chi vive lontano e non è protagonista ormai da nessuna parte».
Dove lo costruiresti l’ipotetico monumento di cui parli?
«Credo che in Calabria ci siano già tanti monumenti come il caciocavallo di bronzo, bisogna semplicemente andarli a scoprire. Io lo costruirei in un posto dove non c’è niente. Deve essere un riferimento, un monito, un monumento del pensiero, anche ideologico quindi. Lo farei sul lungomare di un villaggio dove non ci sono mai stati turisti e dove mai ce ne saranno. Lo immagino quasi come un’opera autoreferenziale, che sta da sola e non ha bisogno di gente che la fotografa».
Arrivi a Reggio in un tour che tocca l’Italia e anche l’estero: Inghilterra, Germania, Cile… come vedi la Calabria da lontano e com’è quella vista da vicino?
«Vista dall’estero, la Calabria per me è uno strumento inevitabile di costruzione del mondo, un bagaglio inesauribile di esperienze ma soprattutto di linguaggi che mi servono per capire quello che mi sta intorno. Quando sono fuori cerco sempre di parlarne in termini un po’ diversi, senza quell’alone di superficialità da guida turistica. Provo sempre a raccontare i luoghi nella loro essenzialità, spogli ma anche forse più autentici. Vista dall’interno, è disarmante nella sua bellezza estrema, a volte nella sua cattiveria, nella sua umanità perché sotto le macerie di un paese da sempre in crisi, smembrato dalla disoccupazione e dalle cose che conosciamo c’è sempre un battito enorme di umanità che io ritrovo e vado a cercare perché ne ho bisogno».
Un battito che ancora resiste?
«Un battito vitale, a volte appesantito e provato dal tempo. Penso che sia fondamentale fare una sorta di cernita, di raccolta di quelli che ancora non si sono rassegnati, che hanno ancora voglia di battersi per la giustizia, per l’onestà, per i valori semplici che poi sono i valori della cultura contadina. Io vado a cercare queste persone e spesso le trovo, alla fine del mio viaggio. Non è semplice perché la Calabria ti mette in difficoltà, ti mette sempre alla prova e ti vuole dire che devi sopportare tante cose per poi raggiungere quella luce, quel lumino acceso. Anche Reggio Calabria è una città straordinaria per la sua storia, per il luogo dove si trova e io credo che questa luce ci sia anche a qui, il compito è andarla a cercare e farne tesoro».
Una ricerca difficile, che a volte ti dà energia, altre ti sottrae linfa vitale…
«Si, è una cosa difficile. È una questione di scelte, c’è chi sceglie di combattere, di ribellarsi. Io con la musica ho scelto di giocarmi tutto e quando dico di cercare quella strada e quella luce lo dico non solo in senso artistico ma concreto. In autunno sarò a Colonia, Londra, in Cile e anche lì ci sono dei pezzi di Calabria che combattono e che sono attenti a quello che succede qui, in questa terra; non sono persone che si sono perse, sono vigili anche loro».